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Esperienze da self publisher #3

Il Self Publishing

Navigavo in rete e mi sono imbattuto in questo articolo:

https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/12/16/i-romanzi-autopubblicati-non-hanno-recensioni-inizio-io-con-le-14-mamme-single-per-scelta/7381414/

In seguito, ho letto anche gli altri post di Marinella Zetti, trovando la cosa, naturalmente, molto interessante. È stato un piacere, infatti, riscontrare tanta attenzione da parte di una giornalista e di una testata a tutto quanto ruota intorno al mondo del self publishing.

È evidente, anche alla luce di quanto scritto finora (Esperienze da self publisher #1 ed Esperienze da self publisher #2), che chi oggi in Italia voglia tentare la strada della pubblicazione incontri serie difficoltà, se non dei veri e propri colli di bottiglia. Eppure, in teoria, le strade ci sarebbero, tutti dicono che se la nostra opera vale, alla fine, arriverà a bersaglio.

Io non ci credo.

Le vere regole del gioco sono altre, e non certo quelle che ci dicono. Salvo poi trovare sugli scaffali fior di bestialità, da far sorgere spontanea la domanda: “…E la ‘capra’ sarei io?”.

Quello che però mi fa pensare, talvolta irritare, è questo stato di sudditanza nei confronti di agenti letterari e case editrici. C’è ancora gente, cioè, disposta ad aspettare 6 mesi-1 anno per un cenno di sopracciglio di un editore (seppur medio, medio-grande, perché ai grandi e ai grandissimi non puoi mica arrivarci!), o a rincorrere un sedicente agente letterario per una compulsiva richiesta di notizie.

Come se questa fosse l’unica strada, la trafila obbligatoria, la penitenza necessaria al solo fine di veder pubblicato il proprio libro. Ma andiamo…

Trovo invece che siamo di fronte a un paradigma recessivo, assolutamente inadeguato ai tempi. Sta agli aspiranti scrittori sotterrarlo definitivamente oppure consentirgli un altro alito di respiro. A mio avviso, il self publishing nasce in risposta a un bisogno insoddisfatto nell’attuale sistema, il quale, invece, stenta a raccogliere le sfide del futuro. In uno stato caratterizzato da scarsità di risorse fa come tutti quelli che si trovano nelle stesse condizioni: diventa oligarchico, fermo, chiuso, cristallizzato, conservatore.

Certo, si potrebbe opinare che la qualità dei self publishers sia molto scarsa, sia a livello di forma che di contenuti. Può darsi, in molti casi in effetti è così. La mancanza di ostacoli e di confronto rende spavaldi, l’incoscienza e l’assenza di limiti fa credere degne di nota storie ombelicali. Ma siamo sicuri che si tratti di una tendenza dei soli self? Nell’ultimo anno mi sono imbattuto – non farò nomi – in un’opera edita da una discreta casa editrice talmente zeppa di errori ortografici da non credere ai miei occhi mentre la leggevo, e in un’altra molto blasonata la cui storia, se fosse uscita così dalla tastiera del mio computer, l’avrei cestinata mille volte prima di licenziarla.

Per cui, siamo sicuri che la scarsa qualità sia padronanza dei soli self?

E che il talento alberghi solo dietro il bollino di una Casa Editrice?

Certo, per i self si tratta di una sfida, da affrontare con passione e studio, coraggio e onestà, ma soprattutto con visione.

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